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Marocche di Dro

Un cespuglio vicino si agitò sotto la spinta di un improvviso alito di vento. Ma era un vento insolito, spettrale. Org avvertì qualche cosa che lo stava avvolgendo, una presenza minuscola, impalpabile, ma inesorabile. Era nuovamente diventato buio, il Bondone era nascosto da una nuvola che, come un artiglio si elevava dalla base del Brento. Durò pochi istanti. Nuvola, polvere, sassi, energia, marocche....
Tutto finì nel giro di pochi minuti. La pianura non c'era più, non c'era più neanche la casupola di Org, al suo posto una montagna di pietre; il Brento immobile con la ferita aperta sul fianco era illuminato dal sole oramai alto. Quell'energia che la spinta dei ghiacci per secoli gli aveva fatto immagazzinare ora era stata restituita alla natura.
Già si stavano formando le prime tracce del lago di Cavedine quando la sera calò alla fine del dell'ultimo giorno della mitica città di KAS.

La più grande frana delle Alpi
Leggenda narra che sotto i macigni delle Marocche di Dro dorma la città di Kas, ma a rendere sottile il confine tra fantasia e realtà è l'incredibile ritrovamento avvenuto nel 1907 durante i lavori di scavo del canale sotterraneo che doveva alimentare la centrale di Fies, ovvero un tegolone di epoca romana e delle ceneri.

Chi è di passaggio in questa zona non può fare a meno di notare l'enorme distesa di massi: stiamo parlando delle Marocche di Dro - dal termine trentino maròc ovvero blocco di roccia - Riserva Naturale Provinciale dal 1989 e Sito di Importanza Comunitaria inserito nella rete europea di aree protette Natura 2000.

Le Marocche di Dro sono la frana più grande dell'intero arco alpino, dopo la massima espansione dei ghiacciai, cominciò un lento ritiro che interessò anche il ghiacciaio Atesino, che per millenni aveva occupato la valle della Sarca. In conseguenza del venire meno della poderosa pressione sui versanti, alcuni di questi cominciarono a franare sbriciolandosi in una miriade di frammenti che formarono una sorta di materasso su cui scivolarono i massi più grandi che risalirono il versante opposto della valle.

Uno sguardo alle pareti del Monte Brento, sulle quali è ben riconoscibile la grande nicchia di distacco, è sufficiente per capire l'imponenza della frana.

Un habitat particolare
Il fenomeno geomorfologico ha creato un ecosistema con habitat di tipo arido che caratterizza la flora e la fauna presenti. In questa specie di deserto dall'aspetto lunare si è formato un unico piccolo specchio d'acqua, Laghisol, con un'interessante vegetazione palustre.

Come in altre aree di interesse del Parco Fluviale della Sarca, anche qui la mitezza del Lago di Garda porta il suo contributo permettendo un'unione tra la flora tipica della regione subalpina e parecchie entità decisamente mediterranee.

Le piante che vi crescono sono adattate alla marcata condizione di aridità e alla presenza di un suolo sassoso, molto povero di humus. Vi sono intere zone dove solo qualche bonsai naturale cresce tra i massi, altre in cui si sviluppa una vegetazione a cespugli o a bosco di caducifoglie termofile con terebinto e pero corvino.

Anche la fauna si presenta condizionata dalle caratteristiche microclimatiche della zona e dal particolare ambiente con abbondanti rettili, tra cui la lucertola muraiola, il ramarro, il biacco, il saettone e gli uccelli legati alla boscaglia e agli arbusti. 

Le rocce franate che si ruppero in sassi mettono in luce ancora oggi ciò che in esse era contenuto: noduli di selce, strati di rocce, fossili e persino orme di dinosauri.

Per visitare le Marocche di Dro si può percorrere un sentiero ad anello con tre diversi possibili punti di accesso che fa parte dei percorsi del Parco Fluviale della Sarca.

Sarca tra le Marocche
Sarca tra le Marocche
(foto di Benuzzi Andrea)
Poligala, Marocche di Dro
Poligala, Marocche di Dro
(foto di Nino Matteotti)
Marocche di Dro
Marocche di Dro
(foto di Nino Matteotti)
Noduli di selce
Noduli di selce
(foto di Nino Matteotti)
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